L’artificiosa nave. Intervenire a Piazza Navona
Estratto dalla Relazione per il concorso di idee per la riqualificazione ambientale di Piazza Navona e per gli arredi della tradizionale “Festa della Befana”, poi pubblicata in:”Roma ieri, oggi, domani”, anno IV, n.60, ott. 1993

….Di fatto la definizione dello spazio di piazza Navona si è conclusa nel 1657 con il completamento della facciata borrominiana di Santa Agnese; dopo tale data gli interventi sono stati tutti di decorazione secondaria e quasi tutti (quelli postunitari) incoerenti rispetto all’immagine consolidata.

Questa considerazione impone una estrema sobrietà di segno in tutto ciò che si intende porre come permanente nella piazza: l’immagine complessiva é così fortemente radicata nella coscienza comune che non ammette possibilità di variazione al suo interno. In piazza Navona non si può aggiungere o togliere alcunché di sostanziale senza stravolgerne il senso.

Ma piazza Navona é anche uno sterminato deposito di immagini brulicanti della stessa vita popolare della Roma storica, quotidiana e straordinaria. Feste, tornei, funerali e trionfi, macchine allegoriche e processioni, mercati, fiere, pubbliche esecuzioni e torture,Carnevali e Befane, tutto quanto é parte della teatralizzazione urbana dall’antichità ai nostri giorni a Roma, ha il suo centro nella Piazza.

Forse é grazie alla indifferenza che gli deriva dalla millenaria permanenza nella Città ed a questa sua lunghissima familiarità con la pratica teatrale urbana che questo luogo può sopportare ogni eccesso effimero ed ogni bizzarra scenografia, proprio come un edificio teatrale, appunto, che non teme di essere modificato dalla ultima rappresentazione che ospita. In sostanza: mano leggera nelle sistemazioni permanenti e segni decisi nelle costruzioni effimere.

L’immagine latente

(digressione, ma non troppo, tra toponomastica e morfogenesi urbana)

La città storica é luogo di continuità e di tradimenti. In quanto sede pietrificata di memoria collettiva essa rappresenta la continuità del mito di identificazione al quale il corpo sociale si riferisce. Ma memoria é al tempo stesso modificazione della memoria, sostituzione dell’evento con una sua immagine, spostamento di senso, ibrido dalle bizzarre trasformazioni. Le più evidenti conseguenze di questo si hanno attraverso il puro e semplice processo storico di riuso dei manufatti antichi che di per sé ne modifica il senso e genera nuovi e fecondi ibridi architettonici. Ma a volte, come in questo caso, il processo é più misterioso e arbitrario, o, se vogliamo, di più tortuosa interpretazione.

Durante i giochi per il Carnevale del 1636 si preparò una sontuosa giostra del saracino o quintana destinata a divenire memorabile per lungo tempo. Nella piazza Navona, ritenuta la più adatta all’evento, si svolsero per tutta la giornata sfilate di figuranti, tornei, giochi d’arme e tenzoni di poeti per il divertimento dei molti spettatori ospitati in due ordini di tribune appositamente costruite. Al calare della notte, ecco a sorpresa apparire, come testimonia il fogliettante Giulio Arrigucci “un’artificiosa Nave che n’era stata fatta con le vele di taffettà Turchino fregiate d’Argento et in mezzo una Colonna pure d’Argento, con una Corona sopra, conducendo detta Nave il suo battello, che mostrava di camminare da se medesimo, mentre andava a forza di ruote, senza che fussero vedute et sopra detta Nave erano diverse persone vestite da Pastori, Ninfe e Satiri, le quali fecero soavissime musiche e diversi balletti a lume di torce … “.

Che ci fa nella piazza, durante un torneo cavalleresco, una Nave, non essendo tra l’altro né la prima né l’ultima apparsa nel luogo durante i ricchi carnevali di età barocca?
Così pure “il divertimento del “lago” non nasce in piazza Navona perché prima che si escogitasse di otturare le chiaviche “della guglia e del moro” l’uso di inondare nei giorni più caldi dell’anno le vie e le piazze era già stato introdotto. Sia la strada Giulia che la piazza Farnese offrono per un certo periodo di tempo questo singolare svago ai romani.” (L.G. Cozzi: “Piazza Navona. Feste e spettacoli” Roma, 1970) Ma solo in piazza Navona l’uso si consolidò e sopravvisse a lungo, dalla metà del XVII secolo fino a ridosso del 1870.

La giostra del 25 febbraio 1634 (in basso a destra, la Nave)
Fino ai primi anni del sedicesimo secolo persiste il toponimo di origine medioevale “Campus Agonis”, memore di attività ginniche che peraltro erano cadute in disuso da un pezzo. In corrispondenza del mutato significato urbanistico del luogo, da area cintata e chiusa a piazza di mercato, da corte interna a polo urbano(vedi il rovesciamento del fronte delle chiese verso l’interno), il toponimo “Agonis” si corrompe in “Navona”, secondo un calco/sovrapposizione imperfetta, che la retorica antica chiamava “levis immutatio” e quella moderna “dissociazione semantica”, ambedue riconoscendovi un ruolo centrale nel processo di formazione artistica. Si tratta in sostanza di una traduzione che tradisce completamente il significato originario e che tramanda in suo luogo una tradizione ben forte nell’immaginario popolare legata alla forma fusiforme dello spazio.

Lo slittamento semantico non é di poco conto se porta con sé l’altro slittamento, questo più colto che popolare, lungo la bizzarra concatenazione STADIO – GRANDE NAVE – ALBERO MAESTRO – OBELISCO – SPINA – CIRCO, al termine della quale lo Stadio, campo libero, si trova trasformato in Circo, con tanto di Spina e Mete.
In questo caso un’immagine debole (uno spazio slabbrato di forma allungata con un lato corto rettilineo e l’altro curvo) ha generato la parola, la quale ha successivamente messo in circolo una forma articolata e complessa, ben presente nell’immaginario collettivo, che Gian Lorenzo Bernini si occuperà di rendere da latente a reale secondo un processo di pseudo restauro della forma antica (ancora un tradimento!) analogo o derivato dalla tradizione antiquaria romana da Pirro Ligorio a Etienne du Pèrac.