spostamenti e rovesciamenti semantici:
urbano/architettonico,  pubblico/privato, esterno/interno, chiuso/aperto (ma anche pesante/leggero, opaco/trasparente, ecc.)

Nel fare artistico ogni nuova opera non può evitare di far riferimento a opere precedenti, usandone in qualche modo la forma o anche più generalmente stabilendo un qualsiasi riferimento ad essa. In tal modo opera di fatto uno SPOSTAMENTO DEL SENSO. L’antecedente perde qualcosa e acquista nella nuova opera qualcosa che prima non aveva. Generalizzando si può dire che tutta la successione storica delle opere è frutto di spostamenti semantici. Ma si assiste oggi a un processo artistico secondo il quale lo spostamento di senso è ricercato e intenzionale e costituisce una vera e propria strategia della progettazione. Non è un fenomeno nuovo: si tratta di un fenomeno simile a quanto è avvenuto nel passaggio dal manierismo al periodo barocco nell’Arte europea: I modi e le forme che per secoli avevano manifestato una certa continuità con i modelli precedenti, gradualmente ne rovesciano i significati.

“…con rovesciamento o peripezia intendiamo quella condizione in cui, soltanto accedendo a un radicale capovolgimento dei propri punti di riferimento primari, si attinge ad un senso nuovo e forse più illuminante della situazione in cui si trova.” ( T. Russo Cardona)

Nel linguaggio verbale l’ironia rappresenta efficacemente un esempio di rovesciamento semantico: un discorso, di solito con una forte connotazione performativa, ne nasconde un altro, che quella connotazione rovescia e mette in crisi, svelandone così i limiti e quindi le potenzialità.

Nell’ambito delle forme poetiche l’haiku  della tradizione giapponese contiene sempre un rovesciamento, essendo formato da due frasi (vedi→ MOTIVO) affiancate separate da una kireji(“parola che taglia”), che aiuta a definire le due idee. Il kireji appare solitamente alla fine di una delle frasi sonore.  Le due parti appartengono a due ambiti fisici o mentali distanti e sono rappresentate in una forma la più sintetica possibile.

Il cortocircuito semantico costringe l’utente ad un cambio repentino di registro: di fatto al discorso performativo viene sostituita una istanza emozionale, nel caso dell’ironia la risata liberatoria, nella poesia haiku una corrente simpatetica col testo. Si può parlare di antisillogismo: la conclusione appare illogica ma mette in moto idee e emozioni. Si viene a creare così tra le due frasi un vuoto di significati che il fruitore è chiamato a riempire, con risultati non previsti e comunque sempre con atto creativo.

L’architettura del secolo scorso è caratterizzata, come è noto, da una forte carica performativa che intendeva incanalare le energie dell’utopia novecentesca. Assunti chiari con categorie nettamente delimitate. Si definivano ( e si cercò di realizzare) la Città, il Quartiere, l’Edificio Razionale Moderno, ma anche il Piano Libero, la struttura essenziale, la normalizzazione degli elementi costruttivi, la distribuzione razionale. Il linguaggio che veicolava queste forme fu di conseguenza formato da alcuni elementi semplici e discreti che si combinano tra loro.

Dalla metà del secolo scorso la fine delle utopie apre la via alla critica e al rimescolamento di quelle rigide categorie. Si sperimentano processi di contaminazione tra gli opposti, che in un primo momento hanno l’intento di chiarirne i limiti, ma in seguito, quando questa tendenza si consolida, diviengono vere e proprie categorie di linguaggio che acquistano valore di rappresentazione della complessità. In questa complessità le vecchie categorie di opposti si combinano e si fondono.

La stessa contaminazione investe l’architettura nei suoi componenti fisico-naturali, ma nello stesso edificio le delimitazioni fisiche degli spazi si fanno trasparenti e immateriali oppure si sfogliano in profondità.

Oggi abbiamo strade e piazze all’interno di edifici, edifici come quartieri che fondono al loro interno funzioni urbane le più diverse. In Jahn, Sony Center a Postdamer platz, 2000 una grande unica copertura ospita diverse unità funzionali separate tra loro. Quartieri e strade tendono a proporre relazioni di prossimità tipiche della sfera privata, e viceversa unità di abitazione che ospitano, accanto alle cellule abitative, strade e spazi comuni, come in Sejima, Appartamenti Gifu, Motosi 1994, dove scale, ballatoi e spazi comuni appartengono più al quartiere intorno che all’edificio.

Entro questa poetica della contaminazione è possibile anche leggere alcuni paradossi che fanno capo più direttamente alla definizione fisica dell’edificio: Non solo si costruiscono paesaggi che mimano quelli naturali, ( vedi →SUOLO) il piano del suolo che si fa copertura (Holl, Natural History museum, L.A. 2002) delimitazione dell’edificio (vedi→MURO) che si sdoppia con edifici entro edifici In Mecanoo, Facoltà di Economia, Utrecht 1991 una scatola di vetro contiene tre distinti edifici,  uno spazio intermedio che è al tempo stesso interno ed esterno. Nello stesso edificio tre patii tra gli edifici mimano ambienti naturali esterni resi con materiali altamente tecnologici. La delimitazione dell’edificio si fa trasparente e immateriale(Sejima, Park café, Koga, 1996)( vedi →PESO), oppure è piano che si sfoglia in profondità divenendo volume vuoto, oppure varia nel tempo la sua qualità. Per Ito, Torre dei venti, Tokyo 1986 il volume ben solido di una preesistente grande torre-serbatoio è reso immateriale da un traliccio che lo avvolge e variabile quando nella notte varia la sua illuminazione.  (vedi→PESO)

In sostanza il progetto contemporaneo usa ogni falsificazione o paradosso che possa negare la definizione tradizionale degli elementi. Così facendo la definizione di questi è ritrovata attraverso la figura retorica che fa capo al paradosso.

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