tempo (rappresentare il)

Può una architettura, che comunica solamente attraverso segni nello spazio fermo tridimensionale,  alludere o rappresentare il TEMPO, la durata, il movimento?

Partiamo come al solito dalla osservazione della città storica, una città come Roma dalla durata lunghissima e continua.

Un edificio del passato in un contesto urbano attuale comunica di per sé un conflitto diacronico. E questo è quanto si legge ad ogni angolo in questa città. Ma il tempo non è rappresentato solamente dalla compresenza fianco a fianco di edifici nati lungo l’arco di secoli.

Esiste sempre un conflitto più o meno evidente tra il manufatto e il luogo su cui insiste. Le aggegazioni di edifici in Villa Adriana a Tivoli seguono ma anche contraddicono l’orografia dei luoghi su cui insistono. Il conflitto rende evidente la differenza tra il prima e il dopo l’edificazione.

In Roma ad ogni passo si incontrano esempi di riuso dei luoghi, siti utilizzati in antico, abbandonati per secoli e riutilizzati in nuovi contesti e nuove funzioni. Si producono così deformazioni o rotazioni di orientamenti e di tracciati. L’organismo urbano si adatta nel tempo a nuovi equilibri, a nuove utilizzazioni, a nuovi innesti. II luoghi cambiano forma e significati ma le forme precedenti non scompaiono del tutto ma lasciano una traccia integrata nel nuovo assetto più o meno congruente con questo. Piazza San Giovanni [/su_lightbox], del Quirinale  o di Spagna si sono conformate nei secoli secondo questo comlesso processo.

Ciò avviene anche quando ad essere riutilizzato è uno stesso edificio, il quale mostrerà sovrapposizione di strati, palinsesti, contrasti di forme e materiali.

Per lungo tempo gli edifici antichi sono stati riutilizzati in forma puramente  materiale: Il preesistente è utilizzato come elemento naturale (La fortezza di Castel S. Angelo “considera” il Mausoleo di Adriano una collina su cui è conveniente insediarsi così come il palazzo papale che vi si insedia sopra “considera” il Castello). Agli inizi dell’età moderna, per es. con Piranesi, esso diviene riuso culturale: la preesistenza è apprezzata per i portati culturali che aggiunge al valore naturale. Con questi si ha una rappresentazione intenzionale del conflitto diacronico , ma anche della continuità tra valori antichi e nuovi. Piranesi “falsifica” l’Antico nel produrre il Nuovo.

Altre volte il riuso di manufatti avviene “per sottrazione”, quando nel tempo alcune parti dell’organismo originario sono crollate: nella Basilica di Massenzio quale la vediamo oggi questo ha prodotto una nuova figura in cui interno ed esterno sono compresenti nella stessa immagine.

Per inciso: a un livello elementare lo stesso restauro dei monumenti quale si stabilisce appunto in età moderna, intende oggi rappresentare intenzionalmente uno scarto diacronico tra l’antico e l’attuale. Le integrazioni di restauro sono rese manifeste per differenze di colore, di materiale , di texture dai lacerti antichi. Viene così definito tramite il progetto un palinsesto di due elementi che intendono non solo restituire l’unità dell’insieme, ma anche misurarne lo scarto diacronico.

Il progetto contemporaneo si è appropriato di queste forme  che il tempo e l’uso hanno prodotto “naturalmente”. Di esse viene riconosciuto  il valore metaforico e in quanto tale quelle forme vengono riproposte intenzionalmente, come portatrici di significato.

Anche se è sempre successo che l’opposizione suolo-edificio, il distinguersi di questo su quello, rappresentasse di fatto una diacronia, oggi questa si manifesta con più forza e intenzionalità. Molti edifici contemporanei tendono a tradurre questo conflitto in forme che rappresentano analogicamente nello spazio quello scarto. Si costruiscono suoli artificiali(vedi→SUOLO) e stratigrafie artificiali, ossia si sovrappongono strati (vedi→LAYERS) che vogliono rappresentare attraverso diversità di forma, materiale e orientamento una diversa derivazione temporale. Sfogliando l’involucro in più piani: In Eisenmann, edificio IBA al checkpoint Charlie, Berlino 1981, la matrice formale è basata sulla compresenza di griglie  di diverso modulo e orientamento, con un forte significato simbolico che evoca il passaggio tra la Berlino divisa e quella riunita. Dello stesso autore il Wexner center a Columbus, 1983, utilizza i due diversi orientamenti di griglia della città, relativa due diverse edificazioni, per riproporli nello stesso nuovo edificio, combinando più “modi” in un palinsesto ricco di conflitti.

Un altro procedimento punta su un effetto immediato di “movimento” e presenta una immagine che ha subito una deformazione rispetto a una matrice canonica convenzionale.

Concettualmente i progetti di Eisenmann degli anno novanta intendono rappresentare  la diacronia tra una forma iniziale e una finale dopo che un processo mentale turbativo simile a evento tellurico ha sconvolto la forma (p.e. Uffici Nunotani, Tokyo 1990). Ugualmente Gehry intende rappresentare il tempo nel suo avvenire, cioè in un movimento congelato: il suo Ginger e Fred, Praga 1996 rappresente un edificio tradizionale che ha subito una torsione violenta. Se volessimo sviluppare questa idea potremmo dire che tutte le  architettura contemporanee basate su geometrie a superfici curve tridimensionali possono essere considerate trasformazioni nel tempo di volumi più tradizionali. Questo ci introduce il concetto di un evento che si svolge nel tempo, che rappresenta la materia nel momento stesso della trasformazione. È quanto avviene nella scultura barocca (Bernini: Apollo e Dafne, David Borghese, ecc.) o in quella futurista di Boccioni (Forme uniche nella continuità dello spazio, 1913)

Vi è poi un altro aspetto della rappresentazione del TEMPO in architettura ed è rivolto alla durata stessa della progettazione, e misura la distanza tra l’elaborazione iniziale e quella finale dell’opera.

Il progetto contemporaneo ha introiettato il concetto di durata della progettazione che alimenta coscientemente ponendo all’inizio del processo la rappresentazione di alcune condizioni contraddittorie che poi, nel corso dell’elaborazione verranno risolte o quantomeno riequilibrate, denunciando la loro origine dialettica. Venturi nella metà degli anni ’60 ha teorizzato questo nuovo approccio al progetto (Vedi: Contraddizione risolta in: Venturi, Complexity and contradition in architecture, New York, 1966).

Un ultimo aspetto marginale  della rappresentazione del TEMPO è dato dalla durata stessa del tempo di progettazione a volte imposto dalle circostanze esterne al progettista e quindi non intenzionale (per esempio difficoltà con la committenza a definire un programma),  altre volte derivante da una scelta del progettista, insoddisfatto della soluzione o per puro  piacere di produrre variazioni su un tema del proprio  passato in un processo di automanierismo. In questo ultimo caso il progettista si muove, come avviene in tutti i manierismi e le riprese stilistiche della storia, sullo stretto crinale tra imitazione e innovazione, con i risultati i più diversi.

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