Paesaggio, preesistenza storica, progetto

Lezione tenuta l’8 settembre 2003 al Seminario Internazionle di Architettura Museale e Premio Piranesi, pubblicata in:”Villa Adriana Environments” a cura di L. Basso Peressut, Libreria CLUP, Milano 1993

Vi mostrerò alcuni miei progetti nei quali ricorrono figure derivate da modi di osservare e scomporre l’unità paesaggio-preesistenza storica. Esse sono strettamente legate alle immagini della città nella quale da sempre vivo e opero, perciò ancora una volta utilizzerò esempi romani. Lontano dal ritenere esclusive queste considerazioni, so che esse permeano in diverse forme la ricerca progettuale da almeno venti anni, da quando, esauritasi completamente la spinta innovativa del moderno, il progetto è posto nuovamente come atto fondativo del nuovo ambiente umano non più solamente nella accezione urbana, ma nella sua totalità, come opera di restauro totale del territorio.

Dalle scienze formatesi sulla radice positivista abbiamo ereditato uno sguardo che tendeva a opporre la visione del mondo naturale al mondo storico. Paesaggi naturali, quanto più liberi da intervento umano sono percepiti dall’antropologo come permanenze al di fuori del tempo in opposizione all’immagine effimera di quanto la storia umana nella sua incessante metamorfosi nel tempo ha lasciato come traccia. La rovina, isolata dal suo contesto storico, ma immersa in quella permanenza, perde il suo carattere di “monumentum”, e viene riassorbita nel continuum naturale.

Ben diversa è la visione quando questa si fa strumento operativo, premessa alla opera modificatrice del progetto. Il luogo, a fronte del progetto, è un’unità inscindibile. Non ha senso riferirsi a progettazione ambientale o a progettazione in situazioni storiche e così via. Interessa invece affermare che non solo la progettazione è una sola, quale che sia il materiale su cui si applica, ma che c’è un momento, anteriore ad essa, in cui, utilizzati e poi abbandonati gli strumenti analitici delle discipline separate, il luogo appare nella sua indivisibilità naturale. Paesaggio naturale e paesaggio storico o preesistenza storica sono a questo punto elementi equivalenti che rimandano a temporalità diverse e che per quanto definiscono l’unicità del luogo, richiedono gli stessi strumenti di comprensione e di manipolazione.

Nella valle del Tevere, al confine tra Umbria e Sabina, si incontra, arroccato su di una scogliera tufacea, un piccolissimo borgo. L’immagine colpisce per la forte integrazione formale tra abitato, opere umane e ambiente naturale e perciò è ferma, congelata nella sua fissità di cartolina, fin quando non intervengo su di essa. Ecco allora che si anima, si scompone in una sequenza di figure, acquista spessore storico. L’osservazione isola i singoli momenti formativi e li pone in sequenza temporale. Su sedimenti alluvionali si è deposto un duro zoccolo di natura vulcanica, che, al dissolversi dello strato sottostante si è fratturato, riducendosi a piattaforma scoscesa, isola rocciosa, luogo ideale per insediamenti sicuri, quali s’incontrano ovunque nell’Alto Lazio. Di seguito sarà possibile ricostruire le vicende degli insediamenti: di occupazioni e di abbandoni. Ogni fase ha lasciato una traccia e ogni segno depositatosi sul luogo può esser e ricondotto all’evento che lo ha prodotto.

Scomporre un’immagine complessa in figure semplici e porre queste in relazione con gli eventi che le hanno generate ne evidenzia la sostanza di segni, conseguenze d’azioni materiali, tracce sulla cera prodotte dall’azione dello stilo.(nota 1)

Recuperata la loro essenza materiale, tutti i segni, naturale o umano che sia l’evento che li ha prodotti, si pongono in continuità e interagiscono, come del resto avviene nelle trasformazioni naturali: la cessazione dell’uso di un manufatto lo sottopone ad un più rapido degrado naturale e di converso una rovina dovuta a cause naturali ne determina una limitazione all’uso o un abbandono.

L’insieme dei segni è così reso attuale in quanto significante ora e nel mio contesto, riunificato in una figura complessa che considero l’immagine del luogo, atto conclusivo di un processo ma anche primo atto di progetto. Il progetto altro allora non è che il rovesciamento in avanti della ri-cognizione del luogo, attualizzazione delle sue potenzialità, restauro ai fini di un adeguamento dell’uso materiale e simbolico di esso.

La metafora degli strati

Una metafora ricorrente nelle analisi urbane descrive la città come una sovrapposizione di strati, analogamente a come l’uso continuo dei luoghi e dei manufatti o il loro ri-uso dopo un intervallo d’abbandono produce tracce, quasi detriti abbandonati sul posto della vita che vi si è svolta. Questa metafora ha prodotto conseguenze rilevanti nella cultura attuale del progetto.

Intanto, come l’archeologo in uno scavo stratigrafico riferisce la quota dello zero assoluto, alla separazione tra terreno vergine e strati storici, così è individuato un inizio della storia architettonica di un sito nel riconoscimento del luogo naturale, nella sua ricreazione morfologica e delimitazione concettuale, primo anello della catena di modificazioni.

Il rapporto tra il sistema architettonico di Villa Adriana e l’orografia del sito è un tema già da altri discusso in questa sede. Questo rapporto, sul quale è costruito uno dei paradigmi più fortunati della forma giardino, si svolge, nelle realizzazione del programma Adrianeo articolato per temi indipendenti, secondo sequenze di sistemi aggregativi forti ma collegati da nessi deboli, in un’organizzazione paratattica che proprio in virtù della debolezza dei nessi è libera di integrare i valori del sito naturale e la sua complessa orografia. Questa è una delle forme in cui quella metafora si può sviluppare, ma non la sola; più in generale il rapporto tra uno strato e il successivo può essere ricondotto a due modi di lettura diversi e complementari, per quanto la nuova utilizzazione del luogo o del manufatto stabilisce con il suo antecedente un duplice rapporto di continuità e d’innovazione.

La sequenza degli strati può essere letta come pura e semplice sovrapposizione d’entità minerali. La lettura sarà orientata al riconoscimento delle discontinuità e indurrà alla classificazione delle differenze, analogamente a quanto un archeologo legge la stratigrafia di una discarica ceramica e ne classifica i ritrovamenti. Tale modo viene spontaneo di fronte a un manufatto che è stato riutilizzato dopo un intervallo di abbandono e in forme nuove. I due sistemi formali, antico e nuovo, convivono entro lo stesso corpo in evidente contrapposizione. Roma è disseminata di questi “mostri” architettonici, sconvolgenti ibridi stilistici, straordinarie e ricche sorgenti di ispirazione per nuove forme Nel palazzo dei Cavalieri di Rodi sopra l’esedra Traianea, in quello Senatorio sopra il Tabularium, nel palazzo Orsini sopra il Teatro di Marcello il nuovo manufatto a prima vista, anziché accordarsi con l’antico, ne stravolge il senso architettonico, in una tensione formale che colpisce gli architetti di oggi come quelli di cinque secoli fa.(2)

Se la lettura della successione degli strati continuità invece che privilegiare le differenze si rivolge alle loro somiglianze, ci si accorgerà di quanto trapassa da uno strato all’altro, quanto il nuovo organismo, modificando con la sua presenza l’ambiente “naturale” sul quale sui radica, da questo è esso stesso modificato. In questo caso sarà più appropriata a descrivere il fenomeno una metafora derivata dal comportamento organico.

E’ spontaneo, ad esempio, leggere in questo secondo modo l’immagine del Teatro di Pompeo, sepolto nel tessuto urbano circostante, ma riaffiorante nella deformazione dei tracciati stradali e nelle giaciture dell’edificazione che vi è cresciuta sopra.(3)

Il processo di trasformazione è riconoscibile quindi nell’influenza morfologica che la preesistenza immancabilmente trasmette al nuovo, come continuità che riaffiora nella mutazione. Influenza che è stata finora individuata solamente nella pura interferenza fisica.
Le immagini vivono però, oltre che nel mondo sensibile, anche in quello della memoria collettiva e quindi della cultura di un dato gruppo sociale. Sarà allora opportuno ampliare l’orizzonte e rintracciare come avviene questo passaggio da un uso meramente materiale ad un uso culturale. In questo brevissimo excursus saranno citati quattro esempi.

Primo esempio. La chiesa di S. Nicola in Carcere è edificata nello spazio tra due templi repubblicani affiancati, utilizzando per i muri longitudinali della navata l’intelaiatura strutturale dei due diversi colonnati. Questi sono usati come meri elementi naturali, per la loro qualità materiale di pietre trovate sul luogo e pronte all’uso.

Secondo esempio. All’esterno o nei cortili di molti palazzi medioevali di Roma sono murati frammenti architettonici antichi, per lo più decorati. Un rocchio di colonna un capitello, un frammento scultoreo non rimandano ad un uso tettonico o comunque materiale, bensì ad un uso culturale dei frammenti. Essi intendono testimoniare una storia precedente, verso la quale l’individuo e la comunità vogliono intenzionalmente sottolineare un rapporto di continuità. All’uso meramente costruttivo si sostituisce un uso più articolato. Decorativo e quindi simbolico o culturale

Terzo esempio. Nel cortile di Palazzo Mattei di Giove i frammenti antichi sono murati a formare una collezione lapidaria. Tra essi si contano diversi falsi, improbabili cornici rinascimentali decorate “all’antica”. Qui il significato culturale è divenuto autonomo dal suo testimone materiale, è significante in quanto riferimento generale all’antico, separato dal supporto testuale.

Quarto esempio. La piazza piranesiana dei Cavalieri di Malta all’Aventino è un’architettura d’invenzione nel gusto antiquario. Piranesi è qui ben cosciente di non produrre falsi, ma di rappresentare il proprio progetto dell’Antico, tenendosi ben al di fuori di esso. Con lui il ciclo di utilizzazione della preesistenza storica è interamente divenuto culturale, rovesciandosi nel progetto. E dando luogo ad una mutazione del linguaggio e delle tematiche del progetto non irrilevante.

Entro l’arco culturale così delineato si muove la dialettica preesistenza progetto Quando Bramante enuncia a Giulio II la sua intenzione di erigere “la cupola del Pantheon sopra le volte del Tempio della Pace” per edificare il nuovo Tempio Vaticano, trasforma una metafora di sovrapposizione in un rapporto organico tra gli strati e volge in progetto quanto la città offriva alla sua sapiente osservazione.

La linea di terra

Proseguiamo con la metafora degli strati. Ad una sezione verticale di essi è di fatto associata una scala temporale che ha la sua origine nella quota del suolo della città contemporanea. Sotto sono i valori negativi degli strati antichi e sopra i valori positivi del nuovo. In questa rappresentazione diacronica l’uomo moderno può cambiare punto di osservazione, ovvero collocarsi altrove entro la scala temporale (Così non poteva muoversi l’uomo dell’antichità, il cui mondo era simbolicamente delimitato dal suolo su cui egli si muoveva e separato da quello sotterraneo, estraneo e ostile.). Ciascuno prova però una sensazione di straniamento quando, trovandosi in un’area archeologica centrale della Città, all’Argentina o ai Fori, volge lo sguardo in alto alla città contemporanea che scorre sopra di lui. Le due visioni, quella fisico-percettiva dell’uomo antico e quella concettuale del relativismo appartenente al moderno, sono in conflitto: la relatività della linea di terra, la possibilità di una sua rappresentazione multipla creano tensione tra le due immagini.(4)

Linea di terra può essere considerata non solo cesura tra il suolo e l’edificio, ma anche tra due strati di diversa e successiva edificazione in cui lo strato superiore considera naturale o geologico quello sottostante. Castel S.Angelo si posa sopra il mausoleo di Adriano come sopra una rupe, a sua volta è massiccio basamento del palazzo cinquecentesco che lo corona. E questa tensione, divenuta a sua volta elemento di una cultura comune può essere riprodotta, come avviene, di fatto, nel progetto moderno e come è continuato in quello contemporaneo.(5)

In fondo si tratta della rappresentazione di una tensione che ha radici lontane. Della relatività della linea di terra e della sua ripetibilità entro un edificio erano coscienti gli architetti del ‘500 romano. In Palazzo Vidoni il pesante bugnato del piano basamentale, vero e proprio prolungamento del terreno su cui poggia, è drammaticamente contrapposto all’intelaiatura alleggerita e “vuota” del piano nobile. Una linea di terra virtuale è ambiguamente contrapposta a quella reale e separa le due parti delle quali quella superiore considera preesistente e perciò naturale quella sottostante.

Ancora una volta l’esperienza, divenuta patrimonio condiviso e perciò cultura, ri-produce la realtà nel progetto. Come la visione diacronica degli strati dimostra eventi che si sono succeduti, così, quando il progetto vuole evocare un prima e un dopo cronologico o semplicemente logico, mostra successioni di strati.(6)

Nel progetto contemporaneo l’astrazione e la de-materializzazione della linea di terra sono portate alle estreme conseguenze. Il suolo perde consistenza fisica, si solleva e s’incurva fino a diventare parete e soffitto, mentre piani di copertura si fingono terreni naturali.(7)
Come mai prima d’oggi la linea (o le linee) di terra continua a percorrere i pensieri dell’architetto.

Strati e giaciture

La sovrapposizione degli strati, letta orizzontalmente anziché per sezioni verticali, in quanto osservazione del fenomeno da un diverso angolo visuale non può che ricondurre alle stesse considerazioni. Ma mentre quella era diacronica, questa è lettura sincronica. Quella poneva in luce il prima e il dopo, questa rende contemporanei i due strati. Sovrapporre due mappe dello stesso sito riferite a due tempi diversi conduce a osservare in trasparenza le modificazioni avvenute.

Piazza di Spagna deve la sua caratteristica pianta “a farfalla” alla collisione secondo una stretta angolatura di due direzioni: quella preesistente del fianco del monte e quella successiva della Via Paolina, dettata dalla regolarità del sistema Tridente.

Quando molti strati si sovrappongono nella lunga vita dei luoghi, la sequenza delle modificazioni induce quasi una trasformazione organica delle forme e delle giaciture. Piazza del Quirinale non troverà mai, dal ‘500 in poi un equilibrio stabile e una forma chiusa. Ogni edificio successivo ai Palazzi Apostolici (Ala della Dataria, Stalle, Palazzo della Consulta) tenderà a riequilibrare il sistema, ma, di fatto, spostando soltanto il fulcro del precario equilibrio, aggiungerà irregolarità e tensioni all’intero sistema. Prova ne sia l’impossibile ricerca del “centro”, dove il gruppo marmoreo dei Dioscuri cambierà più volte posizione e orientamento. L’orientamento dei nuovi tracciati si combina con quelli antiche e i nuovi sistemi formali per adattarsi a quelli preesistenti, ne sono di fatto deformati.

Oggi la lezione appresa da tali osservazioni è applicata estensivamente nel progetto. L’indebolimento dei nessi geometrici seguito al tramonto del moderno ha spinto alla ricerca di grammatiche delle deformazioni o di rotazioni delle giaciture.

La metafora degli strati ha recentemente suggerito generalizzazioni più rilevanti. Per alcuni può divenire modello di percorso logico di progettazione. La figura della sovrapposizione di livelli (layers) formali o funzionali indipendenti tra loro trae vantaggio proprio dalla differenza o casualità degli strati per produrre spazi variati e aperti alla massima flessibilità.

Note
1) Tra i recenti esempi di applicazione della metafora in una successione paratattica degli strati, vedi:MVRVD: Padiglione olandese; B. Tschumi. Museo di arte africana. New York 2003

2) Uno stimolante esempio riferibile alla tematica degli strati che si modificano reciprocamente, pur evitando forme “organiche” è R Koolhas: Concorso per la Biblioteca Nazionale. Paris 1989. Forme di continuità graduale sono in S. Holl: Residenze per studenti dell’MIT 2002

3) Su questa tensione, carica di valenze simboliche vedi. M. Lin: Vietnam Veteran Memorial. Washington D.C. 1982.

4) Piranesi coglie appieno la natura rupestre del basamento adrianeo esasperando la prospettiva e la materialità della tessitura muraria nella ben nota “Veduta del sotterraneo fondamento del Mausoleo…”, in G.B. Piranesi: Antichità romane, tomo IV
5) P. Eisenmann ha, nei suoi progetti degli anni ‘80 utilizzato più volte questa metafora diacronica.. Vedi. Edificio per abitazioni IBA al Checkpoint Charlie. Berlino 1981-85; Wexner Center di Arti Visive, Ohio State University. Columbus 1982-89
6) Per la reiterazione della linea di terra, vedi K. Sejima:Laboratorio multimediale. Oogaky. Il piano di terra si smaterializza in J. Van Berkel e C. Bos: Stazione. Arnheim 1996-07, in Z. Hadid: Landesgartenschau. Wiel am Rhein. 1997-99 e Terminal marittimo. Salerno. 2000, si piega sulla copertura in molti esempi dopo R. Koolhas: Educatorium. Utrecht 1993-97; fino a divenire paradosso geometrico in J. Van Berkel e C. Bos: Casa Möbius. Amsterdam 1993-98
6) È superfluo suggerire esempi per un modo, quello della deformazione geometrica, che pervade in gradi diversi la ricerca di tutti i contemporanei. Per il motivo “rotazione dei tracciati” vedi P. Eisenmann: College di Architettura, Università di Cincinnati 1986.
7) concorso per il Parco de La Villette a Parigi nel 1983 è l’occasione per B. Tschumi e R. Koolhas di teorizzare in forme e con contenuti diversi un metodo che privilegia la disgiunzione dei livelli. Questo avrà grande fortuna negli anni successivi. Vedi anche T. Ito: Piano urbano per Shangai 1993 .